Rebecca, volontaria del Servizio Civile Universale, presta servizio presso l’ufficio del CMSR a Dodoma in Tanzania. Per due settimane ha cambiato sede e visitato l’orfanotrofio di Igogwe dove Eliana, Arianna e Giulia stanno svolgendo anche loro l’anno di servizio civile.
Qui di seguito Rebecca ci racconta le sue impressoni che abbiamo deciso di condividere con voi:
Oggi è il mio ultimo giorno qua, o meglio, ieri lo era. Sono già seduta nell’autobus che mi riporterà a Dodoma e, mentre dal finestrino semiaperto si affacciano, insieme alle prime luci del giorno, pannocchie ancora fumanti e cesti pieni di mandazi appena fritti, mi preparo a fissare nella carta e nella memoria i momenti più belli trascorsi in questi due settimane.
Il viaggio per arrivare qui è stato lunghissimo. Da Dodoma è necessario prendere prima un autobus di quelli grandi che impiegano circa 10 ore per arrivare a Mbeya, da qui bisogna percorrere un’oretta abbondante in daladala per arrivare a Kiwira, penultima tappa prima di arrivare a Igogwe con il bodaboda, unico mezzo di trasporto presente.
Il viaggio è stato lungo, sì, ma il cinema offerto dal panorama che si scorge dal finestrino, seppure appannato dall’incontro tra l’aria consumata dell’interno e la caratteristica pioggia di fuori, riempie a pieno il tempo e la vista.
Il panorama a Mbeya è completamente diverso da quello di Dodoma, quasi che sembra di essere in due paesi diversi.
La prima è piena di verde, la vegetazione sbuca in ogni dove e ricopre con vivacità ogni angolo di terra. I banani sono i più diffusi, alte palme dalle quali pendono caschi enormi color verde acerbo, sono quelle che si cucinano. Non mancano poi gli avocadi, le infinite piantagioni di the, gli alberi dai fiori gialli e tutto il verde che colora di mille sfumature questo quadro avvolto dalla nebbia di un cielo che in questo periodo delle piogge, è più spesso bianco che blu.
Dodoma è molto asciutta, in tutti i sensi. La pioggia non bagna spesso la terra, che risulta arida e di un colore tra il marrone il rosso, di conseguenza anche la vegetazione scarseggia e il panorama è molto più urbano. L’aria è più secca e il sole nelle ore di punta brucia la pelle.
Dal primo giorno Eliana, Arianna e Giulia, le civiliste di Igogwe, mi accolgono come se avessi sempre vissuto con loro, con la dolcezza che le caratterizza e l’accoglienza forse anche un po’ eredità di questo paese dove ogni ospite è karibu.
Da lunedì inizio a lavorare all’orfanotrofio, i vestiti che indosso sono differenti da quelli dell’ufficio di Dodoma, meno formali, più comodi e pronti per essere sporcati. I capelli sono legati e il viso pulito dal trucco. Appena la porta si apre i bambini corrono per venirti ad abbracciare. L’odore dei pannolini da cambiare e del latte, più rovesciato a terra e addosso che bevuto, è forte, ma loro, incuranti ti abbracciano, e ridono. A volte alcuni mordono, pizzicano e strattonano, sempre mentre ridono, al confine tra una provocazione per richiamare l’attenzione e una marachella.
La giornata inizia rifacendo i letti, si cambiano le lenzuola e si rimboccano le coperte sotto i materassi. Poi si continua dando il latte ai piccolini, ovvero quelli che hanno dagli 1 ai 2 anni. Dopo il cambio dei pannolini si procede con il bagnetto nella vaschetta blu. L’acqua dal pentolone sempre borbottante in cucina viene versata in un grande secchio, dal quale viene presa con un secchio più piccolo e maneggevole per versarla a cascata su ciascun bambino. La saponetta profuma di pulito. Ogni bambino viene lavato e coperto di crema, una gelatina profumata che i bambini adorano farsi spalmare e a volte anche mangiare. I vestiti per ciascuno vengono accuratamente scelti sulla base della taglia -senza mai tralasciare lo stile- dall’armadietto dei vestiti in comune: per i maschi body o canotta, pantaloni e felpa, per le femmine lo stesso con l’aggiunta della gonna. Puliti e profumati, se c’è il sole si esce a giocare fuori mentre se il tempo è brutto si rimane dentro le stanze. Nel frattempo è già ora di dare il latte ai piccolissimi. Il neonato, se si vuole uscire all’aperto, deve essere rigorosamente avvolto in una voluminosa coperta prima di essere nutrito con il biberon. Tra un po’ di musica e infinte coccole con i piccoli, tornano da scuola i bambini più grandi, e con loro arriva presto l’ora del pranzo. Le mame preparano grandi pentoloni solitamente di riso o ugali da accompagnare con un sugo di fagioli, pesce o carne e un po’ di verdura a foglia.
Dopo aver lavato i piatti si mettono a letto i piccolini e con le pance piene e metà giornata ormai alle spalle, ci si avvia verso casa.
A Dodoma la routine lavorativa è differente, la sveglia suona un’ora dopo e in ufficio arriviamo con il bajaji.
Le prime persone che incontriamo sono i guardiani o impiegati degli altri uffici che indossano completi eleganti. Arrivati al nostro ufficio Lucy, colei che si occupa di controllare gli accessi e accogliere gli ospiti, e Anna, la nostra OLP, ci accolgono ogni giorno con un caloroso sorriso e almeno cinque domande per chiederci come stiamo, come è usanza fare qua.
Il lavoro non è sempre lo stesso, dipende dal periodo e dalle mansioni assegnate. Principalmente però è un lavoro di ufficio, che richiede quindi di stare seduti alla scrivania davanti al computer. Per pranzo andiamo in città, ogni giorno cambiamo posto dove mangiare, ma abbiamo presto imparato dove fanno il miglior pilau e dove hanno i succhi più freschi.
Ritorniamo in ufficio e dopo aver completato le ultime mansioni, il bajaji torna a prenderci per portarci a casa.
Igogwe è un piccolo villaggio, non manca quindi la possibilità di passeggiare in terreni in cui il passo non sempre è stabile e perdersi tra sentieri di banani costeggiando corsi d’acqua. Le gite nei dintorni sono altrettanto ammalianti, in ogni dove, sembra di essere in una foresta fatata.
Dodoma è, seppure in espansione, una città, e in quanto tale offre più comodità. Non è difficile fare una spesa completa e trovare tutto ciò di cui si ha bisogno, dal cibo, alle stoffe agli articoli per la casa, prendere un mezzo di trasporto a qualsiasi ora del giorno e della notte o trovare un posto dove mangiare.
Le due realtà, come è facile intuire, sono completamente differenti, da una parte una bolla verde in cui il tempo scorre tanto lento quanto intensamente, dall’altra una città in crescita, più simile allo stile di vita a cui siamo abituati noi, ma certo meno immersiva di una enorme foresta incantata.
Mandazi: panini dolci fritti, tipicamente mangiati per colazione
Daladala: piccolo autobus solitamente utilizzato come mezzo di trasporto giornaliero per percorrere distanze brevi. Tuttavia, vi sono alcun daladala anche per lunghe distanze.
Bodaboda: moto utilizzata per trasportare passeggeri.
Karibu: benvenuto, ma anche vicino. Ogni ospite viene accolto con un karibu, e il senso di vicinanza non è apparente, ma si sente dal profondo.
Ugali: polenta di farina di mais che rappresenta uno degli elementi principali della dieta in Tanzania.
Bajaji: spesso conosciuto come tuk-tuk, è un piccolo motocarro molto utilizzato come mezzo di trasporto.
OLP: operatrice locale di progetto, tutor dei volontari del servizio civile.
Pilau: riso bianco insaporito con varie spezie come cardamomo, chiodi di garofano e cannella, che può essere accompagnato da un sugo di fagioli, verdure o carne.
Rebecca Petetti – SCU a Dodoma