Dodoma è la nuova capitale della Tanzania, pure se nuova fa’ un po’ sorridere, essendo iniziato il processo nel 1974 ma effettivamente approvata come nuova capitale nel 1996 e, ancora oggi, sprovvista della maggior parte dei palazzi governativi che si trovano ancora a Dar es Salaam.
Però questo non ferma la dinamicità della città, essendo nella storia cambiata molto spesso. Partendo dal principio, il nome Dodoma deriva dalla parola Idodomya, appartenente alla lingua della tribù principale della regione, la Gogo tribe; la quale è principalmente famosa per le danze accompagnate da diverse tipologie di percussioni.
Quindi, ritornando all’etimologia del nome, letteralmente viene tradotto come “è affondato” e si riferisce agli elefanti, che prima della nascita del primo insediamento, passavano in questa regione e rimanevano incastrati nelle pozze di fango per bere, quindi appunto affondavano. Questo è il primo fatto interessante, la nuova capitale sorge dove un tempo gli elefanti cercavano l’acqua, ed essendo animali che non apprezzano in maniera eccessiva la presenza di un ambiente antropizzato, possiamo dare per certo che al momento in cui coniarono il nome, la regione di Dodoma era una realtà naturalistica in gran parte indisturbata dalla presenza umana.
Questo cambiò a inizio del secolo, quando i tedeschi arrivarono per colonizzare e decisero di fondare la città a stampo europeo: centrale nei confronti della nazione, organizzata in temini di forma urbana e distaccata dalla popolazione locale. Di conseguenza, Dodoma città nasce come una città di e per “muzungu”, dove la popolazione locale non era ben accetta, in cui i tedeschi potevano iniziare a espandere i propri interessi economici: tra questi troviamo la ferrovia che sarebbe servita a muovere le merci.
Facendo un passo in avanti nella storia, i tedeschi, dopo vari accordi, furono sostituiti dagli inglesi, i quali come tutti sappiamo utilizzavano il sistema coloniale basato su una apparente indipendenza dello stato, visto che mettevano un reggente locale a mantenere sia il controllo del luogo, che l’assicurazione alla tutela dei propri interessi. Continuando questo percorso storico, grazie alla figura di Nyerere, chiamato anche il maetro (mwalimu), la Tanganyka ottenne l’indipendenza, riuscì ad annettere lo stato di Zanzibar e divenne quella che oggi conosciamo come Tanzania. Infine, come detto precedentemente, nel ’74 venne per la prima volta aperto il processo per spostare la capitale da Dar es Salaam a Dodoma, per poi essere definitivamente approvato nel 1996 ma tutt’oggi incompleto.
Ma perché servono queste informazioni per rispondere alla domanda “Cosa significa essere un civilista a Dodoma?” A degli occhi poco attenti, queste informazioni sono solo parte del passato, ad uno sguardo più attento, il quale può sia essere frutto dell’esperienza nel viaggiare che, più evidentemente, nel tempo trascorso nella città, ciò è chiaramente lampante: la città di Dodoma è un gigantesco villaggio che ha come obbiettivo diventare il gioiello della Tanzania.
Quando qui si parla di un villaggio, generalmente ci si riferisce a una realtà sprovvista, non nella totalità ma nella gran parte, di servizi a noi scontati, come acqua corrente, elettricità costante e copertura della rete cellulare; questi almeno sono i simboli più evidenti. Osservando, ascoltando e leggendo meglio il contesto delle situazioni, altri elementi che differenziano la città dal villaggio, sempre secondo la prospettiva locale, sono: la forte presenza della comunità, dato che qui più piccola è la realtà, più si tenderà ad aiutarsi nei momenti del bisogno; la completa distorsione del concetto di tempo, dato che le attese, le chiacchiere, un pranzo, hanno una durata che cresce inversamente alla dimensione del centro abitato e la semplicità delle reazioni ed emozioni. Quest’ultimo concetto credo abbia bisogno di essere esplicitato meglio. Per semplicità possiamo intendere il non avere un secondo fine, l’apprezzare il momento per quello che è, non pretendere di dover ricevere qualcosa dalla situazione ma semplicemente vivere nel piacere delle piccole cose: un “mandasi” appena fritto che gronda di olio caldo, una bella pioggia che rinfresca l’aria e non fa’ sussurrare a tutti “leo kuna joto” sana, la squadra del cuore che vince una partita e mette in festa un intero villaggio. Quello che abbiamo potuto vedere in questi mesi, è come il concetto di villaggio, che per noi europei o prende l’accezione di realtà piccola e senza servizi, quindi struttura-centrica, qui prende una dimensione umana-centrica, basandosi più sui modi delle persone che sull’ambiente.
Quindi, riprendendo la domanda di prima, essere un civilista a Dodoma è un’esperienza fatta di dualismo: da un lato si sente l’aspirazione a grande città, quindi si trovano ristoranti etnici, centri commerciali, i servizi raramente mancano; dall’altro invece si sente tutto il resto, si sente il calore della popolazione, la mano che se richiesta per bisogno, viene sempre tesa, l’essere accettato in gruppi di amici per una “biretta” rigorosamente calda solo perché vogliono ascoltare la tua storia e far conoscere le proprie.
Dodoma quindi è questo, un gigantesco villaggio, dove puoi trovare la nuova classe ricca della Tanzania come la parte più vera della popolazione, dove forse non si aiutano tra tutti come nelle piccole comunità, ma creano delle piccole realtà dove possono ricreare degli ambienti sereni e pacifici, dove se vuoi puoi essere accettato, sennò dovrai solo passare e dire “Mambo?” o rispondere con un “Freshy Freshy”.
Essere un civilista a Dodoma significa imparare a leggere in quale dei due contesti ci si trova, adattarsi alla situazione e assimilare tutto ciò che c’è intorno, essendo la grande sfida urbana che nei prossimi anni tutti speriamo che la Tanzania vincerà, al fine di imparare, comprendere e crescere con una realtà così variegata e dinamica.
Guglielmo Ceccarossi
Volontario del servizio civile universale a Dodoma